Benjamin Netanyahu, primo ministro di un paese considerato modello di democrazia in Medio Oriente, ha promulgato una legge che conferisce – a lui e al Ministro per le Comunicazioni – il potere di chiudere gli organi d’informazione stranieri, se ritenuti pericolosi per la sicurezza d’Israele. Nel caso specifico Al Jazeera, il potente media network con sede in Qatar, in grado di trasmettere in diretta immagini dalla Striscia di Gaza e di diffonderle sui social grazie a Instagram (fra i tanti); accusato dal primo ministro in persona di faziosità, di diffondere propaganda filo-palestinese, se non addirittura di promuovere attività terroristica.

Al Jazeera: democrazia e giornalismo, in Medio Oriente

Come riferito dal Post “La legge è stata approvata lunedì dalla Knesset, il parlamento israeliano, con 71 voti favorevoli e 10 contrari. In un post condiviso su X (Twitter) il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che «intende agire immediatamente nel rispetto della nuova legge per fermare l’attività» di Al Jazeera”, «canale terroristico» che «non trasmetterà più da Israele».

Per Netanyahu Al Jazeera avrebbe addirittura avuto parte attiva nel massacro del 7 ottobre, costituendo da allora una minaccia per la sicurezza d’Israele. Ma nel mirino da qualche mese ci sarebbe anche il canale televisivo libanese filoiraniano Al Mayadeen.

Al Jazeera: democrazia e giornalismo, in Medio Oriente

Immagini in diretta dalla Striscia di Gaza

Di fatto, dopo il divieto d’accesso nella Striscia alla stampa estera e l’abbandono per motivi di sicurezza del teatro di guerra dei giornalisti freelance presenti dal pogrom del 7 ottobre, Al Jazeera è uno dei pochi media network internazionali ancora in grado di documentare quanto vi stia accadendo nella sua efferatezza, ai danni di una popolazione stremata, affamata, in costante e grave pericolo di vita. Pericolo che in questo conflitto non ha risparmiato né i giornalisti (Al Jazeera vi ha perso Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese naturalizzata americana, e un cameraman), né gli operatori umanitari, come accaduto recentemente quando la morte di ben sette operatori di World Central Kitchen è stata considerata da Netanyahu l’ennesima fatalità bellica. Per l’omicidio di Shireen Abu Akleh il network avrebbe addirittura denunciato Israele alla Corte penale internazionale, il tribunale per i crimini internazionali con sede all’Aia.

Nello stesso articolo il Post sottolinea anche che “secondo il Committee to Protect Journalists, un’organizzazione indipendente con sede a New York che difende la libertà di stampa e i diritti dei giornalisti nel mondo, la nuova legge israeliana «è una minaccia significativa per i media internazionali»”.

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Di Antonio Facchin

Tecnico di marketing, esperto in comunicazione con la passione per l'editoria digitale multimediale. Di formazione classica con Laurea e Master in scienze umanistiche (foto ©SimonaFilippini)

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