Dogman di Luc Besson sarà in prima visione televisiva domani, lunedì 11 marzo, alle 21.15 su Sky Cinema. All’indomani di una cerimonia degli Oscar che lo ha ignorato, nonostante il protagonista – l’attore Caleb Landry Jones – fosse dato per candidato certo, dopo gli elogi della critica all’80° Mostra del cinema di Venezia, dove il film fu presentato nel settembre dello scorso anno. Con un titolo “in prestito concordato” con Matteo Garrone.

Caleb Landry Jones è Doug, il Dogman di Luc Besson
Caleb Landry Jones è Doug, il Dogman di Luc Besson (©ShannaBesson)

L’ultimo (anti) eroe di Besson

Ultimo di una serie di anti-eroi che hanno segnato la produzione (e fatto la fama) cinematografica di Luc Besson, Douglas, Doug per gli “amici”, (tra)vestito da Marilyn è – coperto di ferite – alla guida di un furgone pieno di cani quando la polizia lo cattura e lo spettatore ne fa una prima conoscenza. Conoscenza che si farà via via più articolata grazie al racconto di sé, in forma di flashback, alla psichiatra dell’istituto penitenziario.

Jonica T. Gibbs è la psichiatra dell'istituto penitenziario in Dogman di Luc Besson
Jojo T. Gibbs è la psichiatra dell’istituto penitenziario (©ShannaBesson)

Breve storia di Doug

New Jersey. Crudelmente vessato dal fratello e dal padre nel nome del Dio di un’America puritana, Doug finisce, dopo la solita lite in famiglia, relegato in una gabbia dei cani da combattimento del padre. E con quei cani è costretto a condividere tutto: dal poco spazio al cibo – quello lasciatogli dalla madre, anch’essa vittima di violenza, che scappa per assicurare al terzo figlio in arrivo un futuro migliore del suo. La condizione che vive è a dir poco disumana, ma gli viene inflitta “perché Dio lo corregga”. E sarà solo l’amore, ricambiato, per quei cani suoi compagni di sventura, e per la lettura di quanto trova fortuitamente a tenerlo in “vita”. Fin quando, per far col suo corpo da scudo a dei cuccioli, un colpo partito dal fucile paterno armato per ucciderli lo condanna per sempre all’inabilità.

Doug riesce così a uscire dalla gabbia dopo un tempo che non sa neanche quantificare ma, affidato ai servizi sociali e ormai costretto su una sedia a rotelle, passa di fatto da una condizione di prigionia a un’altra. Sarà l’amore per Shakespeare a ridestare la sua immaginazione e a farlo rinascere. E come accade in ogni tragedia che si rispetti – perché Dogman lo è a tutti gli effetti – il dolore origina catarsi e rinascita.

Una scena di Dogman di Luc Besson
Una scena di Dogman di Luc Besson (©ShannaBesson)

I cani “comprimari” di scena

Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane”: dal motto di Alphonse de Lamartine prende forma il film che ha impegnato in scena un’ottantina di cani. E una relazione a tutti gli effetti paranormale è quella che vi viene raccontata: tra il protagonista e i fedeli comprimari sembra esistere infatti un rapporto di telepatia probabilmente instauratosi grazie a un costante, quotidiano training fuori scena che ha coinvolto sia Landry Jones, sia Besson per un’ora, ogni mattina, per tutta la durata delle riprese. Il risultato è stupefacente.

Il regista Luc Besson e Caleb Landry Jones sul set di Dogman
Il regista Luc Besson e Caleb Landry Jones sul set di Dogman (©ShannaBesson)

Il latrato degli innocenti

Parte ispirato a un fatto di cronaca, parte a esperienze vissute da Luc Besson –  regista nonché sceneggiatore di Dogmanil film rende esplicito omaggio in primis a Il silenzio degli innocenti (1991) di Jonathan Demme e al Joaquin “Joker” Phoenix di Todd Philipps (2019); al dumasiano Robin Hood ma soprattutto alla vicenda terrena di Gesù Cristo, di cui sono ricorrenti i riferimenti iconografici. A William Shakespeare, ma anche a tutti quei personaggi che hanno contribuito a conferire uno stile “bessoniano” al cinema d’azione; quello al limite di verosimiglianza con inconfondibile stile francese, a partire da Nikita (1990). Così Dogman ricorda anche la Mathilda interpretata da un’adolescente Natalie Portman in Léon (1994), la Leeloo di Milla Jovovich de Il quinto elemento (1997) fino alla Lucy (2014) cui ha dato volto su schermo un’intensa Scarlett Johansson. Ma a differenza loro, e al di là del sesso, Doug si riscatta a tutti gli effetti grazie a un’umanità mai perduta; mantenuta viva grazie all’arte e all’amore (dei suoi cani, beninteso) nonostante tutto, e tutto il genere umano; che attacca con più astuta e lucida violenza di quanto Besson ci avesse abituati. E con sottile ironia.

Un film che racconta una sofferenza indicibile

Dogman è dunque un film su un dolore vissuto, profondo, inspiegabile, indefinibile, di cui si può solo prendere coscienza perché – come Doug dichiara – lamentarsi è appagare il diavolo. Una presa di coscienza che è allo stesso tempo il vero riscatto del personaggio, che ha sempre chiaro in sé che a una causa corrisponde ineluttabilmente un effetto. Un personaggio che si fa amare soprattutto perché si assume piena responsabilità di fronte al suo Dio dei crimini commessi, sulle note di un’allusiva (come lo è tutta la colonna sonora) Non, je ne regrette de rien di Edith Piaf: catartico per lui e per noi.

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Di Antonio Facchin

Tecnico di marketing, esperto in comunicazione con la passione per l'editoria digitale multimediale. Di formazione classica con Laurea e Master in scienze umanistiche (foto ©SimonaFilippini)

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